Oltre l'ombra
Vide chiarezze di celesti armonie
Che senza dargli fortuna
Ne consolarono la cecità...
Poche parole, una pennellata. La pennellata delicata e sicura di don Mazzolari che ci tratteggia così la figura del bozzolese Maestro Paccini. Un bozzolese sfortunato. Per tutta la vita, oltre alla miseria economica, ebbe come compagna la cecità. Valente musicista, ottimo esecutore e geniale compositore, non raggiunse la notorietà.
Morto nei giorni «caldi» e confusi dell'immediato dopoguerra, i giorni che seguirono la tanto attesa liberazione, dovette aspettare dieci anni per avere degna sepoltura.
Sfortunato sì, ma uno dei grandi del paese, uno di quelli che onorano la propria terra. E la sua terra gli vuole dire grazie ricordandolo, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte, a chi lo conobbe e facendolo conoscere a chi non lo conobbe. Ai più giovani che non sanno che «il Giuseppe Paccini» a cui è dedicata una via di Bozzolo, era un compaesano ed un musicista.
La figura del Maestro può essere oggi ricostruita solo attraverso le testimonianze di chi gli fu più vicino, dei suoi ex allievi, «non sempre esemplari, ma tanto devoti», come ebbe a scrivere in un'occasione il prof. Arturo Chiodi. Quegli allievi - oggi, purtroppo, rimasti in pochi - che, come disse il dott. Roberto Manfredini mentre commemorava il suo Maestro 1*11 giugno 1955, «con me ricordano le sue trepidazioni per noi ad ogni esibizione e la sua tremante emozione nel dirigerci nei piccoli concerti cui partecipavamo».
Quegli allievi, come amava ricordare il corniti. Rinaldo Zangrossi, che il Maestro - facilmente irritabile, un po' scorbutico ed estroso - rimproverava aspramente ad ogni minimo sbaglio (per la finissima acutezza d'orecchio coglieva infatti anche le dissonanze meno rilevabili), ma ai quali poi, quasi a farsi perdonare, chiedeva sempre: «Ragazzi, vi siete offesi? No, vero?», e aggiungeva, quasi a volerlo imprimere nella mente di ognuno: «Sapete che la musica è una cosa seria; bisogna averne rispetto, non si può offenderla».
Il Maestro alzava dunque facilmente la voce, si arrabbiava e forte anche, ma era fondamentalmente buono, sensibile, generoso. Infatti, come rammenta ancora il dott. Manfredini, era anche sempre «pronto a prender parte alle vicende della nostra vita, a gioire di ogni nostra gioia, a consolare con una serena ed elevata parola il nostro dolore».